sabato 7 novembre 2015

LOCAZIONE: MOROSITA' E CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA


MOROSITA' DELL'INQUILINO E FISCO

In presenza di una clausola risolutiva espressa, il proprietario può non dichiarare il reddito derivante dai canoni di locazione non riscossi.

In presenza di un inquilino moroso, il locatore si è sempre visto costretto a dovere denunciare, nella sua dichiarazione dei redditi, anche i canoni di locazione non riscossi, con la conseguenza di vedersi conteggiare dall'erario le imposte derivanti anche da quella parte di reddito mai percepito.
Problema annoso che, negli ultimi tempi, ha trovato una sua parziale soluzione con diversi interventi dei giudici tributari, ultimo dei quali, per ordine di tempo, il provvedimento della Commissione Tributaria Regionale Toscana n. 1160/25/2015.
In breve, la Commissione ha considerato corretto il comportamento di un contribuente che non aveva dichiarato il reddito derivante da canoni di locazione non riscossi in quanto, nel contratto di affitto, era stata inserita una clausola risolutiva espressa, ai sensi dell'art. 1456 cod. civ., che comportava, ipso iure, la risoluzione del contratto in caso di inadempimento del conduttore.
La sentenza non aggiunge alcuna novità a una serie di provvedimenti, dello stesso tenore, adottati da altre Commissioni tributarie, sia provinciali, sia regionali, eppure la corretta interpretazione del combinato disposto della normativa esistente ha stentato nel trovare la sua corretta applicazione.
In verità, si era già espressa chiaramente la stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 11/E/2014 del 21/05/2014 dove, al punto 1.3, ribadendo il principio contenuto nell'art. 26, comma 1, del TUIR  per il quale "i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili...", sottolineava che "solo a seguito della cessazione della locazione, per scadenza del termine ovvero per il verificarsi di una causa di risoluzione del contratto, il reddito è determinato sulla base ella rendita catastale".
Una sentenza della Corte di Cassazione, risalente al 2012, la n. 651/2012, si era già chiaramente espressa al riguardo evidenziando come, in caso di risoluzione del contratto, l'obbligazione del conduttore inadempiente acquista natura risarcitoria e non più di canone locatizio. Lo stesso principio era già stato espresso più che autorevolmente anni addietro dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 362 del 26/07/2000.
Va da sé che spetta comunque al locatore dovere dimostrare l'interruzione del rapporto di locazione che, in caso di inadempimento dell'inquilino, si potrebbe concretizzare mediante:

  • la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 cod. civ., se contenuta nel contratto, con l'invio di una lettera raccomandata AR in cui il proprietario comunica al conduttore di volere usufruire della suddetta clausola;
  • la richiesta di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454 cod. civ. (preventiva messa in mora e successiva comunicazione di volere risolvere il rapporto contrattuale per scadenza del termine essenziale);
  • l'azione di convalida di sfratto ex art. 657 e ss. cod. proc. civ.;
  • l'azione ordinaria di risoluzione giudiziale ex art. 447 bis cod. proc. civ.

Per quanto riguarda, in particolare, la locazione abitativa, l’art. 55 legge 392/78, ancora in vigore, permette all'inquilino di sanare giudizialmente la morosità sino a tre volte in un quadriennio, stabilendo espressamente che tale sanatoria esclude la risoluzione del contratto ( 1 ) .
In caso di risoluzione, è necessario comunicare all'Agenzia delle Entrate, nei 30 giorni successivi all'evento, la cessazione del contratto di locazione ( Modello RLI ).
Va detto che le previsioni di legge si differenziano qualora si parli di una locazione abitativa, ovvero di una locazione diversa (capannoni, negozi, uffici, ecc...).
Ai fini fiscali, il proprietario, in caso di inadempimento dell'inquilino, nella fattispecie, in caso di mancato versamento dei canoni di locazione (ovvero di oneri accessori di importo superiore ad almeno due mensilità), dopo avere messa in atto una delle soluzioni sopra elencate, nel caso della locazione abitativa può:
  1. non denunciare il reddito dei canoni non percepiti dal momento in cui il contratto è stato risolto ai sensi dell'art. 1456 cod. civ. ovvero dell'art. 1454 cod. civ. ovvero sia intervenuta una convalida di sfratto per morosità ex art. 657 e ss. cod. proc. civ.
  2. a seguito di convalida di sfratto (e solo in questo caso), rivendicare il credito d'imposta di ammontare pari alle imposte eventualmente già versate sui canoni, riportati nella dichiarazione dei redditi, venuti a scadenza e non percepiti (art. 26, comma 1, TUIR).
Per la locazione diversa dall'abitazione, la differenza sostanziale consiste nell'inapplicabilità dell'art. 26, comma 1 del TUIR, per cui, fermo restando anche in questo caso l'utilizzo delle ipotesi contenute al punto 1) che precede, non sarà possibile, per il proprietario, recuperare attraverso il credito d'imposta quanto pagato sui canoni dichiarati, ma non riscossi, antecedentemente alla risoluzione del contratto.






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1 commento:

  1. In tema di tassazione della ex locazione dopo la risoluzione, va detto che, di fatto tale fattispecie, purchè non “elusiva”, è stata disciplinata dall’Agenzia delle Entrate con un documento di prassi prevedendo la tassazione dell’indennizzo per indebita occupazione (e non più locazione) per cassa quale reddito diverso. Viceversa, se la costruzione giuridica della risoluzione e successiva indebita occupazione è finalizzata esclusivamente al risparmio di imposta (intesa come tassazione dei soli canoni percepiti) dovrebbe scattare la clausola dell’elusione fiscale di cui all’art. 10 bis della L.212/2000 recentemente riformulata dal DLgs 128/2015

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